Corsi e ricorsi storici tinti di giallorosso
Categoria: Amarcord
0 Amarcord. Atalanta – Roma 1978: con la rete di Di Bartolomei su punizione la Roma sbanca Bergamo e scavalca i nerazzurri in classifica
La serie A 1977 – ’78, per i colori giallorossi, parte con l’intenzione di migliorare l’ottava piazza con cui a maggio Liedholm si era congedato dalla sua prima avventura romana.
A dargli il cambio in panchina c’è Gustavo Giagnoni, l’allenatore sardo “con il colbacco”, il suo copricapo abituale. Gli impegni, però, scorrono evidenziando il male cronico di una squadra alla ricerca perenne di continuità a cui si aggiunge la sfortuna di alcuni infortuni, tra i quali quello del centravanti Guido Ugolotti.
La trentesima ed ultima giornata si disputa il 7 maggio 1978, si va a Bergamo a far visita alla “Dea”, poi occhi puntati sui campi di Mar Del Plata e Buenos Aires (stadio del River Plate) per il mondiale di Argentina.
Su quei terreni di gioco la nazionale italiana costruirà un buon quarto posto finale. L’Atalanta non ha brillato in casa nel corso del campionato, di contro la Roma non ha ottenuto nessun successo fuori dalle mura amiche.
Giovan Battista “Titta” Rota, tecnico dei nerazzurri, nell’occasione schiera: Bodini, Cavasin, Mei, Vavassori, Marchetti, Mastropasqua, Scala, Rocca, Pircher, Tavola, Bertuzzo.
Gli risponde Giagnoni disponendo così i giallorossi: P. Conti, Chinellato, Menichini, Piacenti, Santarini, Bacci, Casaroli, Di Bartolomei, Musiello, De Sisti, Maggiora. Arbitro Patrussi di Arezzo.
Partenza subito ravvivata all’11° da una conclusione ravvicinata di Bertuzzo che viene respinta sulla linea da Piacenti. Il tocco è col braccio, ma il direttore di gara opta per l’involontarietà e si prosegue.
La prima frazione si riassume qui; i lombardi attaccano con poca convinzione e i capitolini controllano. Al 6° della ripresa Peccenini prende il posto di Menichini tra i giallorossi, mentre Libera rileva Pircher tra i padroni di casa al 19°.
Alla mezz’ora la svolta; Musiello viene atterrato da Mei, punizione dal limite. Posizione invitante per Agostino Di Bartolomei.
La sua staffilata scheggia la parte bassa della traversa e rimbalza oltre la linea. Il portiere bergamasco smanaccia appena può, ma il segnalinee indica con sicurezza il centro del campo.
È il gol partita, non succede più nulla e la Roma di Giagnoni riesce finalmente a centrare un successo in trasferta in un torneo sicuramente non esaltante.
Come nell’annata precedente, una rete di Di Bartolomei permette di chiudere con una vittoria che rende meno amaro l’arrivederci al prossimo anno. I due punti ottenuti consentono ai giallorossi di scavalcare gli orobici in classifica confermando l’ottavo posto del maggio ’77.
La graduatoria finale dice che il sorprendente L. R. Vicenza si piazza in seconda posizione ed il suo cannoniere, con 24 centri, primeggia in serie A. Si tratta di Paolo Rossi, che nelle competizioni mondiali di Argentina 1978 e soprattutto del 1982 in Spagna diventerà per tutti “Pablito”.
La Roma, intanto, spera di poter cambiare la tendenza degli ultimi anni facendo sforzi economici nel marcato estivo, in cui il presidente Gaetano Anzalone batte la concorrenza di tante squadre e riesce ad accaparrarsi il promettente centravanti Roberto Pruzzo, futuro “Bomber” tre volte capocannoniere con la casacca giallorossa e campione d’Italia nel 1983.
In quell’estate del 1978 appare il “lupetto”, nuovo logo della Roma. Quella che inizierà il 1° ottobre sarà l’ultima stagione al timone della società per Anzalone, gli succederà Dino Viola, avviando il periodo più glorioso nella storia dell’A. S. Roma.
di Massimiliano Spalluto
0 Amarcord. Roma – Bologna 1942: la Roma batte il Bologna campione ed è pronta a prendere il suo posto sul trono d’Italia
Siamo nel 1941 – ’42, l’anno che sembra poter cancellare le delusioni dell’ultimo lustro, in cui il miglior piazzamento è stato un quinto posto a cui vanno aggiunte due finali perse in coppa Italia.
La Roma ha concluso la prima parte del torneo meritatamente in testa alla graduatoria, sorprendendo piacevolmente i suoi appassionati tifosi.
È il 22 febbraio 1942, si gioca la seconda giornata del girone di ritorno, nella Capitale arriva il forte Bologna, la “Squadra che tremare il mondo fa” che sfoggia con orgoglio il tricolore sul petto.
La Roma capolista non può soffrire timori reverenziali di qualsiasi tipo, tanto più che all’andata ha espugnato la tana dei felsinei per la prima volta nella sua storia. Il test è fondamentale per capire fino a che punto il popolo giallorosso può continuare a sognare.
Il mister romanista Alfred Schaffer nella circostanza schiera: Masetti, Brunella, Andreoli, Donati, Mornese, Bonomi, Krieziu, Cappellini, Amadei, Coscia, Pantò. L’allenatore austriaco Hermann Felsner risponde mettendo in campo: Ferrari, Fiorini, Pagotto, Andreoli, Andreolo, Marchese, Biavati, Sansone, Puricelli, Arcari, Reguzzoni. Arbitra il signor Bertolio di Torino.
Il primo tempo è segnato solo da un’occasione per parte, al 28° Biavati per gli ospiti ed al 33° Amadei per i capitolini, entrambe neutralizzate da un’ottima risposta dei due portieri. Reguzzoni si procura uno strappo poco prima dell’intervallo; resta in campo e passa all’ala, divenendo praticamente invisibile.
L’inizio della ripresa è contrassegnato dallo stesso equilibrio che ha segnato la prima parte della gara. Biavati ci prova alla mezz’ora ma Masetti respinge meritandosi gli applausi del folto pubblico presente al “Nazionale”. Si giunge così al 35°, Biavati cerca di sfondare sulla destra, ma Bonomi riesce a fermarlo e mette in moto Pantò. Questi si libera di un avversario e cede ad Andreoli.
Il giallorosso effettua un paio di finte e si scrolla di dosso il suo marcatore prima di servire Coscia. Un’occhiata in avanti e vede Cappellini libero al centro dell’area. La palla raggiunge l’attaccante che non ci pensa due volte, colpisce al volo e coglie di sorpresa Ferrari, il portiere avversario. La sfera finisce in rete pochi centimetri sopra la sua testa, Roma in vantaggio.
Negli ultimi dieci minuti non succede molto, anche perché la squadra di Schaffer si chiude bene e non permette all’attacco dei campioni d’Italia di creare pericoli. Arriva il fischio finale, la Roma del presidente Bazzini e di Schaffer mantiene il suo primato in solitudine (25 punti) ed allunga sul Torino, fermato in casa sul pari (1-1) dalla Lazio. I granata vengono anche agganciati dal Venezia di Valentino Mazzola e Ezio Loik vincente sul Livorno (2-1); le due compagini sono appaiate a 22 punti.
Il campionato è ancora molto lungo, ci saranno avvicendamenti al vertice, situazioni difficili da affrontare, scelte coraggiose da prendere ed ancora tanta sofferenza, ma alla fine il sogno sfuggito negli anni di Campo Testaccio sarà coronato: il tricolore approderà sulla sponda giallorossa del Tevere.
Proprio il Bologna, campione uscente, invierà un telegramma alla neo titolata Roma per congratularsi, in cui si legge: “Ci stacchiamo dalle maglie lo scudetto, convinti che da oggi orna il petto dei giocatori della squadra più grande”.
Un passaggio di consegne ed insieme un riconoscimento, il più sincero, per un gruppo che resta leggendario.
di Massimiliano Spalluto
0 Amarcord. Roma – lazio 1936: la Roma vincente nei derby frena la voglia di scudetto della Lazio
Aria di derby che negli anni Trenta vede il dominio della Roma di Campo Testaccio. Siamo nel 1936 – ’37, anno in cui dalla squadra del nuovo presidente Igino Betti si attendono conferme importanti per poter tornare a sfidare “Lo squadrone che tremare il mondo fa”,vale a dire il Bologna del presidente Renato Dall’Ara.
Dopo aver superato di un solo punto la Roma ed essersi aggiudicato il torneo 1935 – ’36, in questa stagione il Bologna si trova come principale avversaria la Lazio. Per la rincorsa tricolore dei biancocelesti fatali si rivelano le due stracittadine che vedono la Lazio allenata dal tecnico ungherese Jozsef Viola sempre soccombente.
La Roma guidata dal mister Luigi Barbesino, infatti, riesce ad imporsi con autorità in entrambe le sfide. Il Bologna si conferma campione, quindi, mentre la Roma non è più la corazzata che l’anno prima fece sognare il tifoso romanista.
Come nel 1932 non riesce a ripetersi ed a lottare per lo scudetto, le vittorie scarseggiano e finisce per scivolare in classifica, ma la stracittadina si tinge sempre di giallorosso.
È il 18 ottobre 1936 quando a Campo Testaccio va in scena il quindicesimo derby di campionato, sesta giornata di serie A. L’atmosfera è caldissima, il pubblico di fede romanista, confortato da una tradizione sicuramente favorevole (8 successi contro uno solo dei “cugini”), si attende un’altra prestazione da tramandare ai posteri con orgoglio… e non sarà deluso!
La Roma schiera: Masetti, Monzeglio, Allemandi, Frisoni, Bernardini, Gadaldi, Cattaneo, Serantoni, Di Benedetti, Tomasi, D’Alberto. Gli ospiti in campo con: Blason, Zacconi, Monza, Baldo, Viani, Milano, Busani, Riccardi, Piola, Camolese, Costa. Ad arbitrare l’incontro il signor Scorzoni di Bologna. Partenza in salita per i giallorossi che al 9° sono sotto di un gol.
Sugli sviluppi di una punizione battuta da Milano la sfera arriva a Busani che batte Masetti. La Lazio ha il sopravvento e si muove con agilità, mentre i lupi sembrano spaesati e scoraggiati dopo lo svantaggio. Dal 25°, però, la Roma tira fuori quello spirito testaccino che diventerà proverbiale.
Si giunge al 30° quando Dante Di Benedetti si libera in area di un paio di avversari e da distanza ravvicinata infila la porta di Blason, è il pareggio. Gli uomini di Barbesino cambiano marcia, sono molto più aggressivi.
Per la folla che gremisce gli spalti della tana romanista è un segnale inconfondibile di risveglio, si sente l’aria della stracittadina e si comincia ad avvertire il profumo di un nuovo successo. Inizia la ripresa, gli ospiti premono ma la Roma è decisamente più ordinata e precisa, la parità dura fino al 17°.
Sugli sviluppi di un corner ancora Di Benedetti colpisce a botta sicura, respinge Zacconi ma proprio sui piedi di Serantoni che lascia partire una staffilata tremenda su cui Blason non può assolutamente nulla. Ora è la Roma in vantaggio. La Lazio lentamente si smarrisce, rassegnandosi all’epilogo che le è più abituale quando di fronte trova i giallorossi.
La parola fine con relativo avvio dei titoli di coda arriva al 44°. D’Alberto va in fuga, elude l’intervento di due avversari ed effettua un traversone al centro.
Pronto è Di Benedetti a colpire, firmando così la sua doppietta personale. 3-1, a Roma trionfa ancora la Roma. Il giallorosso sventola e dall’altra parte si spera sempre in un po’ di gloria nel prossimo appuntamento, questa volta per il 21 febbraio… ma l’attesa per il tifoso laziale non verrà gratificata da un risultato utile.
Sarà Alfredo Mazzoni con una sua rete a giustiziare nuovamente i biancocelesti, che dovranno incassare così l’unica sconfitta interna del torneo.
Alla fine i 4 punti ceduti alla Roma si riveleranno determinanti nella corsa scudetto: Bologna 42, Lazio 39. La tifoseria laziale potrà consolarsi con il titolo di capocannoniere di Silvio Piola con 21 centri realizzati, seguito dallo juventino Gabetto con 18. Per la Roma, invece, l’annata è totalmente negativa, un decimo posto in graduatoria ed una finale raggiunta in coppa Italia, ma la tradizione nel derby è stata rispettata.
Di Massimiliano Spalluto
0 Amarcord. Genova 1893 – Roma, gennaio 1943: Primo storico successo in casa dei grifoni. Roma diretta dal tecnico ungherese Géza Kertész, lo “Schindler del calcio”
Siamo nel giugno 1942, con la vittoria interna sul già retrocesso Modena la Roma conquista il suo primo scudetto.
Ciò che era sfuggito negli anni di Campo Testaccio si è finalmente materializzato; una squadra strepitosa, una difesa fortissima ed un portiere, Guido Masetti, capace di trascinare i suoi compagni nei momenti difficili.
Ci sarebbe da parlare di alcuni arbitraggi dannosi negli scontri chiave ma, in sintesi, questa è stata l’annata 1941 – ’42.
Il tricolore viene cucito sul petto, ora bisogna difenderlo. Al via la nuova stagione, sempre agli ordini del tecnico Alfred Schaffer. La rosa viene confermata più o meno in blocco, a cui si aggiunge qualche innesto.
Il torneo inizia con un paio di vittorie che si riveleranno, ahimè, illusorie. La squadra non riesce a mantenere i livelli espressi nella passata stagione, si registrano troppi stop che frenano le ambizioni ed i sogni dei tifosi.
A dicembre Schaffer, per motivi personali legati all’evolversi del conflitto mondiale in corso, dà le dimissioni e lascia l’Italia. A succedergli sulla panchina arriva il connazionale Géza Kertész.
Il 1942 si chiude con i giallorossi a notevole distanza dalla vetta. È il 3 gennaio 1943, si va a far visita al Genova 1893, compagine diretta dal tecnico Guido Ara, allenatore giallorosso dal 1937 al maggio 1940.
La Roma ha una partita in meno, la trasferta di Genova per lo scontro con il Liguria (da cui deriverà la Sampdoria) dell’8 novembre era stata rinviata.
Il treno dei capitolini venne prima bersagliato da colpi di mitraglia durante un’azione di guerra, poi entrò in collisione con un altro treno. Per fortuna gli atleti saranno tutti illesi.
Ora, contro i rossoblu, si cerca di ottenere due punti per poter scuotere positivamente un ambiente apparentemente appagato dall’impresa dell’anno prima. Manca il portiere Masetti, colpito da un lutto familiare.
Il Genova 1893 si presenta con: Bacigalupo, Spadoni, Sardelli, Cattani, Allasio, Genta, Sotgiu, Trevisan, Ispiro, Bertoni, Conti. Di fronte la Roma si dispone con: Blason, Brunella, Andreoli, Jacobini, Mornese, Bonomi, Benedetti, Coscia, Amadei, Cozzolini, Pantò.
Arbitro designato il signor Scorzoni di Bologna. Nei primi minuti Sotgiu per i padroni di casa si rende pericoloso più volte. Dalla parte opposta c’è un Pantò scatenato; all’8° riesce ad eludere l’intervento di Bacigalupo e colpisce a botta sicura, ma il difensore Genta compie il miracolo salvando sulla linea. Al 26° sempre il giallorosso colpisce la traversa al termine di un’azione personale.
I liguri si fanno vivi al 43° con il gol di Ispiro, annullato per fuorigioco. Il Genova è troppo nervoso ed inconcludente, la Roma ne approfitta. È l’11° della ripresa quando Benedetti passa ad Amadei che, a sua volta, cede a Pantò. L’attaccante avanza e batte Bacigalupo in uscita che si fa male scontrandosi con un avversario.
Roma in vantaggio e Genoa doppiamente penalizzato, il suo portiere riporta una frattura alle costole. Grifoni in dieci, visto che non esistono ancora le sostituzioni. In porta va Genta, ottimo difensore ma senza futuro come portiere. Lo dimostra al 25° sbagliando il rinvio, corto, raccolto da Pantò che appoggia ad Amadei.
La conclusione del centravanti giallorosso non trova ostacoli in Genta che si oppone in maniera inadeguata, non impedendo il raddoppio della Roma. A questo punto i guantoni li prende Cattani, decisamente più a suo agio nel nuovo ruolo che il corso della gara gli impone. Ultimo colpo di scena al 38°, fallo di mano di Andreoli in area, rigore per i rossoblu.
Sul dischetto si presenta Trevisan, ma il suo tentativo di trasformazione si perde malamente a lato.
Non è giornata per i genovesi, arriva il triplice fischio e la Roma si aggiudica l’incontro per due reti a zero.
Primo storico successo giallorosso in casa dei grifoni!
La vittoria, tuttavia, non riporta la formazione capitolina a quella continuità di rendimento necessaria per onorare al meglio il tricolore presente sulla maglia. Il campionato si avvia, purtroppo, verso una mesta conclusione: undicesimo posto!
Seguirà la sospensione per l’accanirsi degli eventi bellici. Il mister ungherese Géza Kertész, dopo quasi vent’anni trascorsi in giro nel nostro Paese allenando Taranto, Catania, Salernitana ed altre realtà, torna in patria.
Ad attenderlo il destino che ha scelto, quello di un eroe che pagherà con la vita l’impegno per salvare molti ebrei del suo Paese dai campi di sterminio nazisti.
Venne arrestato e poi fucilato insieme all’ex compagno di squadra Istvàn Tòth il 6 febbraio 1945, ad una sola settimana dalla liberazione di Budapest, poi avvenuta il 13 febbraio.
Verrà definito lo “Schindler del calcio”, la sua è la storia di uno sportivo ma, soprattutto, di un grande uomo che andrebbe approfondita a parte per poterle conferire il giusto risalto che merita.
di Massimiliano Spalluto
0 Amarcord. Roma – Juventus 1989: in un Flaminio ricoperto di giallorosso la Roma s’impone con una rete di Stefano Desideri
Per l’ultimo match romano del decennio che le ha viste quasi sempre protagoniste, Roma e Juventus si ritrovano a combattersi nel “piccolo” Flaminio.
Il progetto dello stadio fortemente voluto dal presidente Dino Viola era stato respinto quasi tre anni prima; con la sua lungimiranza l’ingegnere aveva previsto con largo anticipo, rispetto al resto d’Europa, l’importanza che un impianto di proprietà riveste per la stabilità di un club, ma non si volle dar seguito alla sua istanza.
Quindi, con un Olimpico ridotto ad un cantiere in vista del mondiale di calcio del 1990, la Roma è costretta a trasferirsi sul campo che, prima della ristrutturazione portata a termine nel 1959, l’aveva vista conquistare il tricolore del 1942, quando si chiamava ancora Stadio Nazionale.
Tutto ciò comporta non pochi problemi relativi a mancati incassi e disagi di ogni tipo, ma bisogna fare di necessità virtù. Con il chiaro obiettivo di limitare i danni e condurre in porto una stagione dignitosa viene chiamato un sergente di ferro per la panchina: Gigi Radice.
Il tecnico che nel 1976 aveva guidato il Torino al successo in campionato, riuscirà a farsi amare dal popolo giallorosso per la sua serietà e concretezza. L’annata 1989 – ’90 muove così i suoi lenti passi fino alla penultima giornata di andata, è il 17 dicembre 1989 quando si ripropone lo scontro tra le regine degli anni Ottanta. Questa volta la vetta è un po’ distante, ad occuparla è il Napoli (che ci resterà fino al termine del torneo, cucendosi sul petto il suo secondo tricolore).
Di fronte alla compagine torinese la Roma si dispone con: Cervone, Berthold, Nela, Di Mauro, Manfredonia, Comi, Desideri, Conti, Voeller, Giannini, Rizzitelli. Dino Zoff, allenatore della Juve, risponde schierando: Tacconi, Bruno, De Agostini, Galia, Brio, Fortunato, Alejnikov, Rui Barros, Zavarov, Marocchi, Casiraghi. Arbitra l’incontro il signor Agnolin di Bassano del Grappa.
Nella migliore tradizione delle sfide tra i giallorossi ed i bianconeri il ritmo è elevato fin dai primi minuti. Dopo un tentativo di Conti deviato in angolo al 4° è la Juve a mancare una favorevolissima occasione per sbloccare il punteggio. È Di Mauro, travestito da Babbo Natale in anticipo di una settimana, a regalare un pallone di platino a Casiraghi.
L’attaccante juventino riceve al centro dell’area il retropassaggio effettuato con una leggerezza eccessiva dal romanista e batte questo rigore in movimento, o meglio… ci prova. Cervone si è mosso in tempo e riesce a toccare, compiendo un autentico miracolo.
Dopo questa sciagurata distrazione i padroni di casa impongono il loro ritmo: Desideri, Voeller e soprattutto Giannini creano più di qualche apprensione a Tacconi. Al 35° Rizzitelli finisce a terra in area strattonato da Brio, ma il direttore di gara non interviene. Zavarov ci prova con un insidioso rasoterra, ma Cervone si oppone con le unghie spedendo in corner a pochi millimetri dal palo alla sua destra. Il risultato non si sblocca, si va al riposo sullo 0-0. Inizia la ripresa, la squadra di Zoff cerca di sorprendere in contropiede gli avversari, ma all’ottavo è Voeller ad andare vicino al gol. Il suo colpo di testa viene spinto sulla traversa da Tacconi.
I giallorossi premono, spronati da un Flaminio che avverte, come sempre, la rivalità con i bianconeri.
La Juve si perde e la Roma domina, legittimando la sua superiorità al 22°. Rizzitelli effettua un traversone dalla sinistra, Desideri in area è libero di saltare e colpire di testa spedendo dove Tacconi non può arrivare. L’estremo difensore juventino, infatti, è costretto a seguire mestamente con lo sguardo il pallone che s’insacca alla sua destra.
Il Flaminio esplode di gioia, il suo pubblico corre ad abbracciare idealmente Desideri che si è arrampicato sulla vetrata sotto la Curva Sud, la Roma è meritatamente in vantaggio. Si attende la reazione dei piemontesi, ma la cronaca dice che è la squadra di Radice a sfiorare il raddoppio con Voeller e Nela. Nell’ultimo quarto d’ora trovano spazio Pellegrini e Piacentini rispettivamente per Conti e Nela, mentre tra i bianconeri Serena e Napoli rimpiazzano Zavarov e Brio.
Arriva il fischio finale, la Roma trionfa sulla Juve e condivide momentaneamente il secondo posto con Inter e Sampdoria, a quattro lunghezze dal Napoli di Maradona e del presidente Ferlaino. Il tifoso romanista può così festeggiare il Natale con serenità, vivendo un raro momento dolce in un anno denso di difficoltà logistiche e, conseguentemente, finanziarie a cui la società ha dovuto far fronte.
Nel girone di ritorno la più grossa soddisfazione viene colta nel derby di ritorno, risolto dal “tedesco che vola” Rudy Voeller con una testata alla mezz’ora del primo tempo. Radice porta a termine la sua “mission impossible”, conquistando un ottimo sesto posto che significa qualificazione per la coppa UEFA dell’anno seguente, in cui l’ultima Roma del presidente Viola raggiunge la finale… ma questa è un’altra storia.
di Massimiliano Spalluto
0 Amarcord. Fiorentina – Roma 1965: nel giorno di Santo Stefano la Roma vince a Firenze con una rete di Francesconi
Siamo nella stagione 1965 – ’66, la prima segnata dalla politica di “Austerity” voluta dal nuovo presidente, il futuro senatore Franco Evangelisti.
Si sta per chiudere uno degli anni più difficili e pesanti per l’A. S. Roma; a gennaio del 1965 è stata resa nota la grave crisi finanziaria in cui si dibatte la società ed a cui hanno fatto seguito le tristemente note collette del Sistina e tante altre situazioni che, per fortuna, restano un lontano ricordo.
Evangelisti, ricevuto dall’ex presidente Marini Dettina il pesante fardello, ha dovuto sfoltire la rosa e cedere molti dei campioni giallorossi presenti nei primi tornei del decennio.
Risanare le casse societarie, di conseguenza, significa andare incontro ad un sicuro ridimensionamento che, nel periodo in questione, non significa rinunciare ad una qualificazione in Champions League (tra l’altro la Coppa dei Campioni era molto diversa dall’attuale competizione), bensì ritrovarsi a lottare con l’unico obiettivo di rientrare quantomeno nella cosiddetta “colonna di sinistra” della classifica.
Le soddisfazioni, in questo frangente, arrivano solo con il ruolo di “ammazzagrandi” che la compagine capitolina interpreta alla perfezione, compiendo spesso delle autentiche imprese. Una delle “grandi” è proprio la Fiorentina che, in quest’annata, mette le mani su Coppa Italia e Mitropa Cup e, di lì a tre anni (1968 – ’69), conquisterà il secondo scudetto della sua storia. La sfida con i viola giunge alla quattordicesima giornata, con la Roma ottava in graduatoria insieme a Lazio e Cagliari.
Si gioca nel giorno di Santo Stefano, 26 dicembre 1965. I toscani hanno due punti in più dei capitolini e vengono da un contestato pareggio interno col Napoli; Beppe Chiappella, tecnico dei gigliati, dispone in campo: Albertosi, Rogora, Castelletti, Guarnacci, Ferrante, Brizi, Hamrin, Bertini, Nuti, De Sisti, Morrone.
Gli risponde il mister giallorosso Oronzo Pugliese schierando: Cudicini, Tomasin, Ardizzon, Carpenetti, Losi, Carpanesi, Francesconi, Tamborini, Spanio, Salvori, Barison. Dirige l’incontro il signor Righi della sezione di Milano. La Roma confonde le idee ai padroni di casa che non riescono a rendersi pericolosi. Nei primi minuti episodio decisivo: il viola Bertini si fa male in uno scontro di gioco con Salvori.
Prova a resistere per un po’ ma dal 27°, visto che non sono ammesse ancora le sostituzioni, passa all’ala. Accertamenti medici nel post – gara diranno che si tratta di una doppia frattura al piede destro… Bertini è decisamente un eroe nel voler restare in campo.
Con la Fiorentina praticamente in dieci, i giallorossi si limitano a controllare senza grossi sforzi le sfuriate dei viola. Termina la prima frazione a reti inviolate. Inizia la ripresa, la Fiorentina prova ad attaccare ma non graffia. A questo punto gli uomini di Pugliese si rendono conto di poter osare qualcosa in più e si affacciano dalle parti di Albertosi.
Al 27° la svolta del match: palla dall’ex giallorosso Egidio Guarnacci a Rogora che, con leggerezza, si fa togliere la sfera da Salvori, da questi viene ceduta a Barison che affonda sulla sinistra.
Ferrante contrasta inutilmente la sua discesa mentre il giallorosso entra in area ed effettua un traversone su cui Albertosi decide di non uscire.
A colpire al volo si fa trovare pronto Fulvio Francesconi che insacca, Roma in vantaggio. I viola sbandano ed al 33° rischiano di andare sotto di due reti. Salvori ruba un’altra volta il pallone ai padroni di casa, in quest’occasione a Ferrante, entra in area, elude l’intervento di Albertosi e calcia verso la porta.
Castelletti in acrobazia recupera e mantiene vive le speranze dei suoi. I gigliati, però, non riescono ad essere incisivi e non creano pericoli per Cudicini.
Arriva il triplice fischio, dopo aver espugnato Genova (sponda Samp) e Bergamo, i giallorossi riescono nell’impresa di tornare vincitori da Firenze.
Nel resto dell’annata non saranno molte le soddisfazioni per il popolo romanista, queste arriveranno solo dagli scontri con le milanesi: vittoria contro il Milan all’Olimpico, dodici anni dopo l’ultima affermazione, e pareggio in trasferta al Meazza con la capolista Inter del “Mago” Herrera che poi si aggiudicherà il tricolore (Inter già battuta all’andata 2-0!). Per le vere soddisfazioni e poter sognare finalmente in grande bisognerà avere ancora molta pazienza. Ad maiora…
di Massimiliano Spalluto
0 Amarcord. Roma – Spal 1960: vittoria giallorossa con un finale rocambolesco. Roma a punteggio pieno dopo quattro giornate
Siamo nell’estate del 1960, la Roma del presidente Anacleto Gianni conferma come guida tecnica il campione del mondo 1938 Alfredo Foni.
L’ambizione minima è quella di migliorare la nona posizione del precedente campionato e poter far bene sugli altri fronti. Con quest’obiettivo nella mente vengono ingaggiati Juan Alberto Schiaffino, anche se un po’ avanti negli anni, e Francisco Ramon Lojacono insieme ad altri che diventeranno punti di riferimento nella rosa, come il terzino Alfio Fontana.
La stagione inizia nel migliore dei modi: 3 vittorie consecutive contro Bari e Torino in trasferta e in casa contro l’Udinese. In evidenza Pedro Manfredini, autore di ben 7 reti e due triplette. Si giunge così alla quarta giornata, all’Olimpico è di scena la Spal dello storico presidente Paolo Mazza ed allenata da Luigi Ferrero.
Foni per l’occasione schiera: Cudicini, Stucchi, Corsini, Pestrin, Losi, Giuliano, Orlando, Lojacono, Manfredini, Schiaffino, Selmosson. Di fronte la Spal con: Matteucci, Riva, Valadé, Ganzer, Catalani, Carpanesi, Novelli, Corelli, Taccola, Massei, Morbello.
Arbitro designato il signor Genel di Trieste. Partenza vivace con portieri impegnati fin dai primi minuti. Grossa opportunità per la Roma al 13°, da Manfredini a Pestrin che serve Orlando. Mezza girata al volo e palla che scheggia la traversa.
Ancora il legno della porta ospite impedisce alla Roma di passare; è da poco passata la mezz’ora quando, dalla linea di fondo, Manfredini spedisce sul palo. Il tempo si chiude a reti inviolate ma con la squadra di Foni costantemente in attacco. Riprende la gara e l’assedio da parte dei giallorossi si intensifica.
Lojacono viene fermato in area con le cattive, ma l’arbitro sorvola. Matteucci è chiamato agli straordinari per fermare i tentativi dei padroni di casa, ma al 24° deve arrendersi. Pestrin tira, tocco di Catalani, la palla giunge ad Orlando che, con una splendida girata spedisce sopra la testa di due difensori ed insacca nell’angolo alto, Roma in vantaggio. I capitolini insistono, Lojacono viene nuovamente atterrato in area in maniera evidente, ma non se ne fa nulla neanche questa volta.
Due minuti dopo, al 29°, lo stesso Lojacono triangola con Selmosson e, ricevuta la sfera da “Raggio di Luna”, batte imparabilmente l’estremo difensore ferrarese, è il raddoppio. La Roma domina, è sul 2-0 ad un quarto d’ora dal termine, quindi… partita finita? No, la nostra storia non è mai stata così semplice! Ecco che, inesorabilmente, basta poco per infilarsi nella classica tragedia sportiva che, per i colori giallorossi, è sempre dietro l’angolo.
È il 33° quando Morbello batte un corner appoggiando a Carpanesi, il suo traversone in area sembra spegnersi innocuamente tra le mani di Cudicini, ma succede qualcosa di poco chiaro. Disturbato da Novelli, il portiere giallorosso perde la palla, cade a terra, e lo stesso Novelli ne approfitta per mettere dentro il punto della speranza. Da una contesa che sembrava ormai chiusa, si passa così all’ennesimo finale da brividi.
A Manfredini viene annullato un gol per fallo di mano, al 43° anche Stucchi tocca con la mano su un forte tiro di Morbello. L’infrazione, però, avviene nell’area giallorossa, a questo punto il solito dramma con rimpianti sembra apparecchiato: è rigore.
Di fronte a quest’epilogo, i protagonisti in campo sembrano tutti sorpresi: rassegnazione e smarrimento negli occhi dei capitolini che vedono sfumare nei minuti finali una vittoria meritatissima; di fronte, e forse ancora più increduli, gli ospiti a cui si presenta l’occasione di ottenere almeno un pari da una sfida che sembrava abbondantemente persa ai punti. Sul dischetto, a giustiziare i padroni di casa, si presenta Oscar Alberto Massei, argentino nelle file dei ferraresi.
Lo spallino prende la rincorsa e… chi non ha il coraggio di guardare, sente il rumore cupo del legno che viene centrato in pieno. Il suo tentativo di trasformazione si è infranto sulla traversa, nulla di fatto! Massei affermerà, davanti ai giornalisti, di aver voluto tirare rasoterra ma di aver colpito troppo sotto, così il pallone gli è “…volato via”.
Per questa volta, resta solo lo spavento subito. Ora la Roma sta attenta, controlla il gioco ed aspetta il triplice fischio dell’arbitro Giorgio Genel che arriva puntuale di lì a poco, 2-1.
Quarta vittoria consecutiva per i romanisti e testa della classifica condivisa con Inter e Juve.
La partenza bruciante con il punteggio pieno dopo quattro turni, tuttavia, verrà presto cancellata da risultati altalenanti che condurranno la Roma di Anacleto Gianni ad un quinto posto.
Da rilevare in quest’annata, però, il percorso in Coppa delle Fiere che sarà completato nell’ottobre del 1961 con la finale di ritorno contro gli inglesi del Birmingham e la conquista del trofeo.
di Massimiliano Spalluto
0 Amarcord. Inter – Roma 1975: Morini e De Sisti firmano il due a zero finale. Terzo posto per la Roma
La vittoria a Milano per sfatare un tabù e chiudere il torneo in terza posizione dietro Juve e Napoli.
La stagione 1974 – ’75, però, era partita tra gli incubi: Roma ultima con 2 soli punti dopo cinque giornate. Un tracollo! Ci sarebbero molte attenuanti per quest’avvio disastroso, tra cui pali colpiti (una costante anche dei giorni nostri), tanti gol mancati di poco oltre a 3 sconfitte tutte per 1-0, ma la sostanza non cambia.
Il presidente Gaetano Anzalone, da tutti riconosciuto come un vero gentiluomo prestato al mondo del calcio, medita di rassegnare le dimissioni dalla carica.
A quel punto, però, il vento cambia; dopo la sconfitta su rigore con la Juve la Roma inanella una serie di sei vittorie consecutive che la proiettano nelle zone alte della classifica.
L’affermazione con l’Inter nell’ultimo turno d’andata dice che, al giro di boa, la formazione capitolina è terza. Il girone di ritorno, però, la riporta alle abitudini sfortunate di inizio competizione.
Di fronte il Torino di Graziani, Castellini e Zaccarelli, il gruppo che l’anno seguente conquisterà il tricolore rinvigorendo il mito del “Grande Torino”.
Contro i granata la Roma colleziona tre pali ed alla fine perde ancora per 1-0 (quinta volta su 5 sconfitte totali!), con gli avversari che ammetteranno a fine gara che i capitolini, tra andata e ritorno, meritavano sicuramente di più.
La truppa di Liedholm, però, non perde la testa e tiene il passo; vince con la Juve capolista, si aggiudica anche il derby di ritorno, (dopo quello d’andata Chinaglia, capitano biancoceleste, pretese dai suoi compagni di poter bruciare le “maglie della sconfitta”) e prosegue mantenendosi nelle zone alte della graduatoria.
Ora c’è da difendere il terzo posto, uno sforzo davvero impegnativo visto che la squadra di Liedholm, per l’ultima sfida dell’anno, è attesa a Milano dall’Inter, un terreno per lei inespugnabile da molti anni.
È il 18 maggio 1975, la squadra lombarda non ha certo brillato in questo torneo, ma il suo allenatore Luis Suarez pretende di concludere dignitosamente l’annata.
L’Inter scende in campo con: Bordon, Guida, Fedele, Bertini, Facchetti, Bini, Mariani, Scala, Boninsegna, Moro, Nicoli. La Roma risponde con: Conti, Negrisolo, Rocca, Cordova, Santarini, Cavalieri, Penzo, Morini, Prati, De Sisti, Spadoni.
Arbitra il signor Pieri della sezione di Genova. Appena 4 minuti ed il punteggio cambia. Rilancio del portiere giallorosso raccolto da Morini che avanza, si libera di Bertini ed effettua un diagonale alla sinistra di Bordon su cui l’estremo difensore nerazzurro non può nulla, la Roma è in vantaggio.
Altri dieci minuti ed al 14° i giallorossi allungano. Discesa inarrestabile di “Kawasaki” Rocca sulla destra,; elusi gli interventi di Guida e Bini mette una palla al centro per De Sisti che di destro spedisce in rete.
Dopo neanche un quarto d’ora di gioco la gara ha emesso il suo verdetto, il resto è pura cronaca spicciola. Ad inizio ripresa tra i padroni di casa entra Cerilli al posto di Nicoli, mentre Liedholm dà spazio a Sandreani che rileva Penzo a 12 minuti dal termine.
Unico colpo di scena, l’invasione di campo effettuata da una cospicua fetta di supporters nerazzurri. In un primo momento si era temuto un gesto dettato da derive di contestazione, che negli anni Settanta vanno ben oltre il semplice gesto dimostrativo, ma chi è entrato nell’arena vuole solo far finire il torneo salutando i giocatori.
I sorrisi prolungati tipo paresi facciale, che costringono i calciatori a camminare in mezzo alla folla con un’espressione inebetita tra un selfie e l’altro, non sono ancora necessari.
I ragazzi le foto dei loro campioni se le portavano da casa, sperando di farle firmare al loro idolo, possibilmente con una dedica. Chi non ha le istantanee pronte, o un poster, si accontenta di un quaderno e si lancia all’inseguimento per ottenere il più alto numero possibile di autografi.
Altri, invece, si procurano vari souvenir: magliette, fasce, pantaloncini… Una volta ripristinato l’ordine e liberato il rettangolo verde dagli intrusi, si riprende per giocare gli ultimi dieci minuti di questo campionato, fino a che giunge il fischio finale dell’arbitro Pieri. Sul tabellone si legge 0-2!
La Roma vince nella Milano nerazzurra dopo tredici anni e mezzo dall’ultimo successo; era un San Silvestro di calcio, quello del 1961, in cui una rete di Manfredini fece trionfare per l’ultima volta i capitolini al Meazza.
La stagione finisce qui, Anzalone raccoglie il suo migliore piazzamento in campionato e si torna a vedere una qualificazione alle coppe europee dopo ben 6 anni di assenza.
Si vivrà un’estate piena di sogni e di illusioni; in fondo, si pensa, con un po’ di fortuna in più quei quattro punti di distanza dalla Juve campione sarebbero stati colmati con pieno merito, ma l’annata seguente farà ricadere la Roma nei suoi soliti peccati storici: le mancate conferme!
Per vederla maturare da quel punto di vista bisogna attendere gli anni Ottanta con Dino Viola, il ritorno del “Barone” Liedholm e una generazione di campioni radunati in un gruppo unico.
di Massimiliano Spalluto
0 Amarcord. Verona – Roma 1988: ci pensa Boniek a risolvere il match, terzo posto per la Roma di Nils Liedholm
Siamo nell’estate del 1987, si è appena conclusa la stagione sicuramente più travagliata e deludente dell’era del presidente Dino Viola. All’insuccesso sportivo (settimo posto) si aggiunge la pessima notizia ricevuta tra gennaio e febbraio relativa alla bocciatura del progetto riguardante il nuovo stadio, fortemente voluto dal senatore.
“La mancata realizzazione dello stadio di proprietà è la mia peggior sconfitta da presidente della Roma” dirà, ma si va avanti, “arrendersi” non esisteva nel suo vocabolario. Nella nuova campagna acquisti, insieme al centravanti della nazionale tedesca Rudi Voeller e ad altri validissimi innesti tra i quali Fulvio Collovati, arriva Lionello Manfredonia. Malgrado le forti diffidenze iniziali della tifoseria, il difensore onorerà sempre con il massimo impegno la maglia della Roma.
In panchina avvicendamento tra mister svedesi, sempre loro: nel 1984 era andato via Nils Liedholm ed era giunto nella Capitale Sven Goran Eriksson, ora si assiste al percorso inverso, torna Liedholm che prende il posto di un Eriksson dimissionario. Il “Barone” inaugura così il suo terzo ciclo in giallorosso, la speranza è quella di ripetere le imprese del lustro 1979 – ’84, con lo scudetto, la finale europea e ben 3 coppe Italia conquistate. La realtà, purtroppo, sarà più amara.
Al via il torneo, tutti all’assalto del tricolore indossato dal Napoli di Maradona, Ottavio Bianchi e del presidente Ferlaino. L’annata inizia nel migliore dei modi, con i giallorossi nelle prime posizioni. Qualche risultato inatteso ma, tutto sommato, l’andamento è soddisfacente, quarto posto a 5 lunghezze dalla capolista Napoli. È il 17 gennaio 1988, ultima giornata del girone d’andata, Roma in campo a Verona attesa dalla compagine allenata da Osvaldo Bagnoli che tre anni prima aveva stupito la nazione conquistando il primo e finora unico tricolore per il Veneto.
Dall’esaltante cavalcata del 1985 molto è cambiato per gli scaligeri, non più capaci di riproporsi a certi livelli e momentaneamente al sesto posto insieme alla Juve. Il Verona in campo con: Giuliani, Bonetti, Volpecina, Berthold, Fontolan, Soldà, Verza, Galia, Pacione, Iachini, Elkjaer.
La Roma oppone: Tancredi, Tempestilli, Oddi, Manfredonia, Collovati, Signorini, Agostini, Gerolin, Voeller, Giannini, Boniek. A dirigere l’incontro il signor Paparesta di Bari. I padroni di casa sono subito aggressivi, sono loro a sfiorare il gol al quarto d’ora. Sugli sviluppi di un angolo Pacione calcia al volo verso la porta romanista. A Tancredi battuto è Giannini a compiere il miracolo di deviare nuovamente in corner. Pacione scatenato, in scivolata al 28° spedisce alto da ottima posizione. Gli uomini di Liedholm, invece, aspettano la ripresa per entrare in campo con la voglia di portare a casa i due punti. Volpati e Sacchetti prendono il posto rispettivamente di Volpecina e Iachini.
Al 23° Giuliani al limite dell’area abbatte Gerolin. Giallorossi sempre più insidiosi ed al 27° colpiscono. L’azione si sviluppa sulla fascia sinistra, all’altezza del centrocampo è Giannini a lanciare Boniek. Il polacco sfodera una delle sue proverbiali cavalcate vincenti, nulla può Sacchetti nel tentativo di ostacolarlo. Entrato in area Zibì di sinistro batte Giuliani in uscita, è il gol – partita. I gialloblu si lanciano alla ricerca del pari, ma le idee sono confuse. È la Roma, invece, a mancare di poco il raddoppio allo scadere. Agostini entra in area dalla destra, centra per Boniek che, pressato dalla marcatura, libera Voeller per il tiro.
Il tedesco, però, si fa respingere la sua conclusione a botta sicura da Giuliani che, di piede, compie un autentico miracolo. Termina qui la sfida, la Roma espugna per il secondo anno consecutivo il Bentegodi ed aggancia la Sampdoria al terzo posto, sconfitta in casa da una rete di Maradona.
Una grossa iniezione di fiducia per la squadra di Liedholm che si appresta ad affrontare un girone di ritorno capace di riservare delle soddisfazioni al tifoso romanista. Vengono battuti i rivali storici di quegli anni Ottanta, ossia i bianconeri della Juve. È il 28 febbraio ed all’Olimpico ci pensa Stefano Desideri con una doppietta a regalare il 2-0 finale alla sua squadra. Sette giorni dopo viene compiuta l’impresa: la squadra di Liedholm sbanca il San Paolo!
Contro Maradona, Careca, Garella, Carnevale e Giordano la Roma manda in rete Giannini e Oddi, con una delle sue rare ma pesanti segnature. Il punto di Careca rende più sofferto il finale ma il successo non sfugge. Da quella gara il Napoli inizierà lentamente a scivolare dalla prima posizione cedendo lo scettro ed il tricolore al Milan dell’emergente Arrigo Sacchi, con il trio olandese (Gullit, Rijkaard e Van Basten) in evidenza.
Seguiranno per i giallorossi risultati deludenti e stop pesanti, ma alla fine, con l’1-0 di Manfredonia nel ritorno con i gialloblu del Verona, viene ottenuto un ottimo terzo posto che rappresenterà il miglior piazzamento fino allo scudetto del 2001.
di Massimiliano Spalluto